Se tutti gli obbiettivi con lunghezza focale inferiore a 50 mm sono considerati grandangoli, tutti quelli con lunghezza al di sopra sono considerati teleobbiettivi. Più precisamente, sono definiti teleobbiettivi quando la diagonale che attraversa il fotogramma restituisce un angolo di campo inferiore a 47°. Sono obbiettivi in grado di restituire visioni ingrandite dei soggetti, senza avvicinarsi ad essi. Sono particolarmente indicati per la fotografia naturalistica, dove soggetti, come gli animali, potrebbero essere messi in fuga da una presenza troppo vicina o quando diventa pericoloso avvicinarsi troppo ad essi, specialmente se si tratta di un safari fotografico. Sono molto usati anche nella fotografia sportiva, dove non è possibile avvicinarsi troppo agli atleti per cogliere la loro prestazione. Nel caso della fotografia da ritratto, invece, sono apprezzati per la loro tendenza a sfocare lo sfondo, mettendo in evidenza il soggetto, e per la mancanza di distorsione ottica. La distanza con cui si possono eseguire dei buoni ritratti, garantisce anche la possibilità di mettere i soggetti a proprio agio, soprattutto se non stiamo parlando di professionisti abituati a farsi riprendere, poiché un obbiettivo troppo vicino li può rendere troppo rigidi e, quindi, poco fotogenici. I teleobbiettivi macro garantiscono riprese ravvicinate di insetti senza disturbarli. Oltre a tutte queste caratteristiche riguardanti il soggetto, i teleobbiettivi permettono anche di intervenire in modo interessante anche sugli sfondi, sfruttando l'angolo di campo per inserire il soggetto in una zona ristretta e omogenea e raggiungendo una profondità di campo più limitata sono utili a sfocare lo sfondo. Con i teleobbiettivi è bene ricordare che l'area di messa a fuoco cambia al variare della lunghezza focale, quindi sarà necessario impostare il fuoco dopo ogni zoomata per evitare inconvenienti sgradevoli.
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Se dovessimo paragonare l'occhio umano ad un obbiettivo della nostra fotocamera, il 50 mm sarebbe indubbiamente il più azzeccato. La condizione, ovviamente, è valida se l'obbiettivo è montato su una macchina full frame (sensore a pieno formato 24x36, vedi Lezione 1 L'ATTREZZATURA), altrimenti bisognerà tener conto del fattore di moltiplicazione della macchina che, moltiplicato con la lunghezza focale dell'obbiettivo, dovrà dare un valore prossimo al 50. Questo tipo di obbiettivo è definito focale normale e rappresenta il riferimento principale secondo cui tutti gli obbiettivi con focale inferiore sono definite grandangoli. L'impiego di un grandangolo è necessario soprattutto nei casi in cui si tende a comprendere nel fotogramma più porzione d'immagine possibile. E' il caso della fotografia di paesaggio, delle panoramiche, delle bellissime albe e tramonti, con cui molto spesso ci cimentiamo. Il grandangolo può essere usato anche nelle fotografie di ritratto ambientato, in cui è possibile enfatizzare ciò che circonda il soggetto, raggiungendo una maggiore profondità di campo. Il rischio che si corre in questi casi è costituito principalmente dall'effetto distorcente garantito quando il soggetto è troppo vicino alla nostra focale. Tuttavia, l'effetto distorcente può costituire il vantaggio di ampliare la visuale canonica, dandole una nuova prospettiva. Un'ottima soluzione in questo contesto è costituita dalle ottiche fish eye (occhio di pesce), in grado di distorcere notevolmente la scena. Le fotocamere attuali sono dotate di sofisticati sistemi di messa a fuoco automatici. Verrebbe spontaneo, a questo proposito, chiedersi perchè usare il sistema di messa a fuoco manuale. Tuttavia, è abbastanza sottolineare che alcuni soggetti e/o condizioni ambientali possono ingannare la fotocamera, rendendo difficile la vita al sistema automatico di messa a fuoco. Ogni sistema per funzionare bene ha bisogno di luce e contrasto, quindi, in assenza di questi fattori, la fotocamera avrà problemi nell'agganciare il soggetto per metterlo a fuoco. In questi casi è consigliabile la messa a fuoco manuale per ovviare all'inconveniente. Esempi di queste situazioni sono dati dalle condizioni di scarsa luminosità, in cui la fotocamera non è in grado di individuare i dettagli per la messa a fuoco, oppure nelle situazioni di scarso contrasto, come in una giornata di nebbia. Altro esempio è lo scatto con interposizione tra la fotocamera e il soggetto di un piano trasparente, che potrebbe indurre la fotocamera ad un errore sulla messa a fuoco, come il vetro di una finestra o le maglie di una rete metallica. Anche il pericolo di sovrapposizioni improvvise potrebbe indurre la fotocamera ad errori: bloccando il fuoco in una determinata posizione, può risolvere questo inconveniente. La fotografia macro è in assoluto il genere di fotografia in cui la messa a fuoco in manuale può garantire i risultati migliori. In tempi diversi dall'era digitale confrontarsi con la modalità manuale consisteva nell'essere fotografi esperti, con un certo grado di conoscenza della luce e di gestione della fotocamera. Oggi, invece, in piena era digitale, fotografare in manuale rappresenta pressoché un gioco di prova e riprova. Lavorare in modalità manuale indica la possibilità di impostare per ogni scatto una coppia tempo-diaframma scelta autonomamente dal fotografo per una precisa situazione, senza alcuna interferenza da parte della fotocamera. In realtà, però, la maggior parte dei soggetti non richiede questo tipo di scelta, partendo poi dal presupposto che tutte le fotocamere possono lavorare in modalità semiautomatica, la scelta della modalità manuale potrebbe sembrare inutile. Tuttavia, ci sono situazioni particolari in cui è necessario gestire autonomamente sia il tempo di posa che il diaframma, per evitare che il soggetto o le condizioni di illuminazione intervengano a confondere i sistemi di misurazione della fotocamera. L'esposizione manuale è ideale in situazioni in cui una lettura della misurazione media della luce penalizzerebbe il soggetto. Per fare un piccolo esempio, fotografando una scena prevalentemente scura su cui spicca un piccolo soggetto bianco, la fotocamera con esposizione automatica restituirebbe un certo tipo di bilanciamento, misurato sull'intera scena. Zoomando sul soggetto bianco e, con esso, occupando maggiormente il fotogramma, il bilanciamento si orienterebbe sul bianco restituendo valori completamente diversi dall'esposizione precedente. Lavorare in manuale permette di restituire ad entrambe le immagini l'esposizione corretta. Ma, esempio a parte, quando sarà necessario lavorare in manuale? Alcuni casi sono facili da riconoscere: soggetti particolarmente chiari o scuri che si muovono nell'inquadratura, sfondi con tonalità dominante, parti riflettenti o fonti particolarmente luminose all'interno dell'inquadratura. I sistemi di misurazione per valutare l'esposizione si affidano alla stessa scala della compensazione dell'esposizione, quindi premendo a metà il pulsante di scatto, osservando la scala nel mirino e regolando di conseguenza uno dei parametri dell'esposizione fino al raggiungimento del centro della scala, permetterà di ottenere la giusta esposizione. Le fotocamere munite del dispositivo di segnalazione per le alte luci, permetteranno di evidenziare le aree sovraesposte e/o bruciate, suggerendo correzioni immediate. Le tre variabili da tenere sotto controllo restano comunque le stesse viste con le precedenti lezioni: il tempo di posa, che varia in base al tipo di soggetto; l'apertura del diaframma, che regola la profondità di campo; la sensibilità ISO, che garantisce la massima qualità a 100 ISO. L'esposizione manuale è particolarmente consigliata nelle seguenti situazioni: 1) foto da studio 2) paesaggi notturni e fuochi d'artificio 3) soggetti stagliati nel cielo 4) cielo, neve e sabbia. Le recenti fotocamere sono munite di tre diverse modalità di scatto ovvero lo scatto singolo, lo scatto continuo e l'autoscatto. Lo scatto singolo è solitamente usato per immagini di tipo statico, che non richiedono velocità d'impostazione e tantomeno prestazioni eccellenti da parte della fotocamera per elaborare la quantità d'informazioni necessarie alla loro elaborazione. Tuttavia, anche con la modalità scatto singolo è possibile ottenere immagini d'azione accattivanti. E' il caso di immagini scattate con il flash o impostate con tempi lunghi, dove la modalità di scatto si dimostrerebbe del tutto inefficace a causa degli eccessivi tempi di cui la fotocamera ha bisogno per prepararsi allo scatto successivo. Lo scatto continuo, invece, è la modalità di scatto specifica per le scene d'azione e permette, tramite scatti ripetuti, di cogliere il fotogramma migliore dell'intera scena. La quantità di scatti ripetuti, tenendo premuto il pulsante di scatto, varia da modello a modello, così come la velocità d'esecuzione e la quantità d'informazioni elaborata. La modalità autoscatto permette di azionare il pulsante di scatto con un ritardo programmato di diversi secondi, utile per potersi fotografare con un gruppo di persone. In questi frangenti è consigliabile fissare la fotocamera su un robusto treppiedi per evitare l'inconveniente di foto inclinate, a causa di scomodi supporti improvvisati, o peggio, condizioni di fotocamera in equilibrio precario che, cadendo, potrebbe subire dei danni fastidiosi. La condizione di autoscatto potrebbe essere usata anche per evitare il micromosso nelle situazioni di tempi lunghi. Fondamentalmente, con la fotocamera fissata sul treppiedi e senza disporre di un pulsante di scatto remoto o flessibile, è possibile, premendo sul pulsante, generare un movimento sussultorio che indurrebbe a questo problema, poiché, a causa del tempo di scatto troppo corto, non sarebbe possibile permettere alla fotocamera di assorbire il movimento. Impostando un tempo di autoscatto di 2 secondi, la fotocamera potrebbe stabilizzarsi prima dello scatto e garantire così di attenuare l'effetto di micromosso. Abbinando a questi accorgimenti la funzione di blocco dello specchio e l'uso di un cavo flessibile e/o un telecomando, l'effetto mosso potrebbe essere del tutto eliminato. Sebbene in passato esistessero macchine fotografiche che funzionavano secondo principi meccanici, con avanzamento manuale della pellicola, oggi, con la fotografia digitale, il funzionamento è interamente affidato all'elettronica, ragione per ci si deve affidare ad una batteria carica, artefice del funzionamento di molteplici cinematismi all'interno della macchina. Una batteria può garantire centinaia di scatti, in riferimento alla sua portata e alla carica del momento. Questa è messa costantemente sotto pressione, poiché deve alimentare lo schermo LCD, i processori e i circuiti elettronici, fornire energia all'otturatore, allo specchio, allo stabilizzatore d'immagine e al motorino di messa a fuoco. Sulle fotocamere con flash integrato deve anche fornire energia per la ricarica del condensatore ad alta tensione e per l'innesco del lampo. Il funzionamento della batteria, nello specifico, è garantito da una reazione chimica controllata che garantisce la produzione dell'energia necessaria a tutti gli scopi menzionati. La temperatura, come per ogni reazione chimica, influenza notevolmente la produzione di energia: alle basse temperature è, infatti, possibile constatare che la realizzazione del numero di scatti sarà notevolmente inferiore rispetto ad una giornata calda. L'uso continuo a queste condizioni comporta la cessazione delle aattività di pulsante di scatto e monitor. La necessaria ricarica conseguente consiste nell'attivare un processo di inversione della reazione chimica in atto, capace di riportare gli ioni all'interno della batteria dal catodo all'anodo. Tuttavia, le operazioni di ricarica non sono eterne, poiché una batteria può durare fino a circa 500 cicli, dopodiché si esaurirà definitivamente. La loro longevità può variare significativamente in riferimento al modo in cui sono usate. Mensilmente possono perdere circa il 5-10% della loro carica anche se non sono utilizzate e la loro inattività ne impedisce poi il recupero. Per questo motivo è fondamentale usare tutte le batterie in dotazione a rotazione. Anche le operazioni di ricarica sono fondamentali:i complessi circuiti di monitoraggio del carica-batterie e della batteria ottimizzano il processo di ricarica in modo più o meno ottimale. Alcune batterie e alcuni carica-batterie sono sicuramente migliori di altri, garantendo sicuramente un'elevata longevità. Anche in questo caso la temperatura è importante per aumentare la carica e la durata della batteria. La grandezza di una batteria è un buon indicatore della sua carica, ma per avere la giusta misura è più correttp fare riferimento alla sua capacità, misurata in mAh (milliAmpere per ora). Quindi, tirando le somme, è sempre meglio munirsi di una batteria di scorta per sopperire alla possibilità di restarne senza nei momenti in cui rischiamo di avere la batteria scarica. Una soluzione ottimale, per poter disporre di due batterie e prolungare la durata della carica, è disporre di un'impugnatura portabatterie (se il modello lo prevede). Con una fotocamera digitale è particolarmente facile constatare la corretta esposizione di un'immagine. La possibilità di visualizzare l'anteprima sul nostro LCD, permette di valutare eventuali errori istantaneamente. Tuttavia, a causa della qualità dell'anteprima, è talvolta difficile valutare se l'immagine è esposta correttamente. La funzione istogramma fornisce una risposta precisa in merito all'esposizione e se necessario usare la compensazione dell'esposizione per rendere più scuro o più chiaro lo scatto successivo. Altra particolarità fornita dall'istogramma riguarda una serie di informazioni a proposisto del contrasto. Questa informazione consente di evitare o di affrontare con estrema attenzione, tutte quelle situazioni che presentano una gamma di luminosità superiore a quella gestibile dal sensore. Con soggetti poco contrastati, l'istogramma standard riporta il grado di luminosità (luminanza) di ogni pixel. La distribuzione di questi gradi è indicata da una scala di 256 livelli (il numero di toni per Canale registrabili in un JPEG). La tonalità più scura registrabile da un sensore, conosciuta come nero puro, è indicata dallo zero ed è posizionata sulla parte sinistra dell'istogramma. Viceversa il bianco puro è rappresentato dal valore 255 sulla destra. Tra questi due valori, percorrendo l'asse delle X, sono indicate tutte le sfumature. Sull'asse delle Y sono indicati i numeri di pixel contraddistinti da quel determinato livello di luminosità. In termini di ripetibilità è bene precisare che non esistono istogrammi ideali e che ogni scatto può essere caratterizzato da colori più o meno luminosi, quindi non esisteranno due istogrammi identici. La migliore gamma tonale è raffigurata con un istogramma a forma di campana. Un istogramma posizionato sul lato sinistro, indica un'immagine sottoesposta. Viceversa, posizionato sul lato destro, una sovraesposta. Nel digital imaging la sovraesposizione è molto difficile da recuperare in fase di postproduzione. Con soggetti molto contrastati è preferibile un'immagine sottoesposta, poiché è più facile recuperare il dettaglio delle aree più scure, usando gli appositi sftware di manipolazione. La lettura degli istogrammi deve però essere eseguita con molta attenzione, poiché questo occupa uno spazio limitato sullo schermo, quindi diventa difficile valutare se tocca davvero gli estremi, poi perchè si basa sulla versione JPEG. Scattando in RAW la fotocamera catturerà molti più dettagli tonali (12 o 14 bit rispetto agli 8 del JPEG), quindi anche le alte luci potrebbero essere recuperate. Le attuali fotocamere reflex sono in grado di registrare immagini in due diversi formati, RAW e JPEG.
Il JPEG è il più noto standard di compressione per le immagini fotografiche digitali. I file con questa estensione possono essere gestiti da programmi differenti, senza problemi di compatibilità o conversione e hanno il vantaggio di avere un peso ridotto, occupando poca memoria e potendoli quindi trasmettere tramite web o tramite posta elettronica senza particolari problemi. Tuttavia, più un file digitale è compresso, più la sua qualità si deteriora, evidenziando scalettature e artefatti antiestetici. Sebbene sia possibile selezionare il formato in previsione della grandezza delle foto che vogliamo ottenere, è pur sempre consigliabile la registrazione dei file in formato RAW, molto più pesanti ma in grado di mantenere tutti i dettagli, con l'intento di usarli come negativi, ovvero come immagini da cui potremo ottenere nuovi file, magari in JPEG, per i nostri più svariati usi. Le informazioni racchiuse nei file RAW potranno essere elaborate in post-produzione, ottenendo gli effetti più particolari adatti al nostro scopo. Il maggior peso di questi file comporta il riempimento delle schede di memoria in tempi più veloci, quindi, in riferimento al tipo di foto e alla definizione della fotocamera, dovremo scegliere una scheda di memoria più o meno capiente per soddisfare le nostre esigenze. Le schede di memoria hanno dimensioni, velocità d'immagazzinamento e classi diverse, per ogni tipo di uso che vada dal professionale all'amatoriale e per ogni tipo di tasca in termini di costi. Le principali schede possono essere di tipo SD (più piccole) o CF (più grandi), note anche come Compact Flash e più comuni tra le reflex digitali. Le SD sono attualmente le più diffuse, poiché, grazie alla loro ridotta dimensione, possono essere usate sulle fotocamere entry level che, per ragioni di progettazione e di contenimento dei costi, sono sempre più piccole e più maneggevoli. Le schede SD possono essere: SD, Secure Digital SDHC, High Capacity SDXC, ancora più capienti delle HC. Suogni scheda di memoria SD e CF sono solitamente riportati i dati concernenti la capacità (es. 16 GB), la velocità di trasferimento (es.: CF 60MB/s; SD 133x), le eventuali classi (solo per SD) pensate per offrire velocità di scrittura differente e l'eventuale protocollo UDMA (Ultra Direct Memory Access) solo per CF e in grado di offrire una maggiore velocità di trasferimento. Nella tabella seguente è possibile confrontare le velocità di trasferimento definite per le schede SD con quelle definite per le CF. Velocità a confronto 40x - 6MB/s 66x - 10MB/s 100x - 15MB/s 133x - 20MB/s 200x - 30MB/s 300x - 45MB/s 400x - 60MB/s 600x - 90MB/s La scala ISO ha origine dall'ormai remota fotografia analogica. Esistevano infatti pellicole di diversa sensibilità che erano chiamate rapide in virtù dei tempi di posa più rapidi, impostabili dalla fotocamera. Queste pellicole erano impiegate per soggetti in movimento e soprattutto per condizioni di scarsa luminosità. Inizialmente la sensibilità è stata misurata facendo riferimento alla scala americana ASA per poi passare alla tedesca DIN e giungere infine alla ISO, impiegata tuttoggi anche nel digitale. Alla differenza della pellicola, con il digitale può essere aumentata la sensibilità dei chip di imaging attraverso i circuiti elettronici. Gestire gli ISO nel digitale è come potenziare il volume della radio: amplificando il segnale proveniente dal sensore, permette l'applicazione di tempi di posa più rapidi. Il principale vantaggio offerto dal digitale consiste nella possibilità di poter variare la sensibilità ISO ad ogni scatto, contrariamente a quanto avveniva con la pellicola, che doveva essere consumata e/o sostituita per variarne il valore. Il valore standard impostato sulle attuali fotocamere è solitamente 100 ISO. La scala ISO è costituita da valori numerici che, se raddoppiati, raddoppiano la sensibilità del sensore alla luce. Aumentando la sensibilità da 100 a 200, per ottenere la stessa esposizione complessiva, sarà necessario impostare un tempo dimezzato, due volte più veloce. Raddoppiando il valore degli ISO si aumenta, quindi, l'esposizione di uno stop. A seconda del tipo di reflex e in base al modello più o meno recente, il massimo valore ISO può variare da 3200 a 102400. Tra gli inconvenienti dovuti all'aumento della sensibilità spicca l'abbassamento della qualità d'immagine, che sarà caratterizzata dal cosiddetto rumore. Il rumore si manifesta sottoforma di aumento della grana, di striature o macchie di colore. Questo inconveniente si riduce all'aumentare della grandezza del sensore: con una fotocamera full-frame il rumore è ridotto al minimo, specialmente sulle versioni più recenti, dotate di una scala ISO molto più ampia. La grandezza del sensore consiste in singoli photosite più grandi, in grado di coprire superfici più grandi e di catturare più luce: il segnale così non avrà bisogno di eccessiva amplificazione, garantendo meno rumore. L'applicazione simbolo per l'uso del flash è sicuramente quella legata alla mancanza di luminosità dalla scena, anche se è consigliabile usarlo anche in luce diurna per determinate circostanza e situazioni. Non conoscere a fondo il funzionamento di questo attrezzo comporta sicuramente dei problemi e un sicuro degrado della qualità dell'immagine. La chiave per ottenere buoni risultati è fondamentalmente legata ad una questione di esposizione, che non deve più essere solo vincolata al tempo di esposizione, al diaframma di apertura dell'obbiettivo e ai valori ISO più adatti, ma anche della potenza del flash, per ottenere un lampo più naturale possibile. Il flash fornisce un brevissimo lampo di luce, la cui durata può essere modificata dalla fotocamera o dal fotografo, in riferimento alle esifenze della scena. La quantità di luce necessaria ad illuminare un soggetto dipende dal diaframma usato: più ampia sarà l'apertura e minore la potenza del lampo. Lo stesso ragionamento è applicabile anche ai valori ISO impostati: maggiore sarà la sensibilità impostata sul sensore e minore la potenza del lampo. Il tempo di scatto, invece, non è un fattore particolarmente significativo. Nonostante tutto, però, il modo in cui l'otturatore influisce sul piano focale non consente di disporre dell'intera gamma di tempi previsti dalla fotocamera. Con il flash impostato in modalità normale è necessario assicurarsi che il tempo di sincronizzazione specifico della fotocamera non sia superato dal tempo impostato all'occorenza. Questo vuol dire che con un tempo di sincronizzazione pari a 1/200 di secondo, il tempo di scatto impostato non dovrà essere più veloce (1/250, 1/300, ecc.), poiché questo comporterebbe l'oscuramento di parte dell'immagine a causa della tendina in chiusura sull'otturatore. La maggior parte dei fattori da considerare nel calcolo dell'esposizione del flash sono gestiti in autonomia dalla fotocamera. L'impiego di un flash integrato sulla fotocamera o di un flash a slitta dedicato comporterà un adeguato tempo di sincronizzazione impostato dalla fotocamera per tutto il tempo di utilizzo. Ovviamente il concetto non sarà valido qualora fosse impostata la modalità di esposizione manuale (M). Un flash integrato sulla fotocamera comporta un'ulteriore complicazione: la sua portata, essendo alquanto limitata, non permetterà di usufruire del suo effetto, qualora il soggetto non fosse posizionato nel raggio di pochi metri dal flash. I nuovi sistemiE-TTL (Evaluative Through The Lens) regolano l'intensità del lampo in uscita con una breve emissione di luce poco prima dello scatto, che consente di misurare la luce riflessa dal soggetto. Ciò garantisce un'esposizione più equilibrata e riduce al minimo gli errori nella gestione del flash, causati da soggetti con tonalità troppo chiare e/o troppo scure. Tuttavia un flash in modalità automatica non sempre restituisce i risultati desiderati. Per le situazioni in studio è consigliabile l'impostazione in manuale, con un tempo di posa definito sul tempo di sincronizzazione, un'apertura efficace a raggiungere la profondità di campo desiderata e una regolazione manuale della potenza del flash, tale da ottenere l'illuminazione desiderata. La potenza del flash può essere regolata attraverso la compensazione dell'esposizione flash, che in alcune fotocamere è presente all'interne dei menù nelle Funzioni Personalizzate. La figura precedente mostra le modalità di impostazione dei flash in termini di sincronizzazione ad alta velocità, sulla prima tendina e sulla seconda tendina. Con la sincronizzazione ad alta velocità è possibile usare diaframmi più aperti per ottenere effetti particolari, come ad esempio la sfocatura dello sfondo per i ritratti all'aperto. La sincronizzazione sulla prima tendina è solitamente quella impostata per tutte le modalità automatiche, che può creare difficoltà con i soggetti in movimento, quando la velocità dell'otturatore è più lenta: in queste circostanze, una serie di strisce luminose, create dalla luce ambiente, apparirà davanti al soggetto, risultando di anticipo rispetto al movimento del soggetto. La sincronizzazione sulla seconda tendina permetterà di evitare questo inconveniente, risultando successive al movimento del soggetto. |
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March 2014
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